La marcia su Torino (24 – 29 agosto)
Mentre il Principe Eugenio con l’Armata imperiale austriaca marciava in suo soccorso, il Duca Vittorio Amedeo il 20 agosto era sceso dalle montagne per andare incontro al cugino, ponendo il campo alla Motta sul Tanaro, 12 km a S di Asti. Qui raccolse tutti i viveri e tutti gli uomini validi delle terre non invase radunati dal marchese di Parella. Fece poi gettare un ponte sul Tanaro ad Isola d’Asti, e spedì ad Eugenio il generale Fels con la richiesta di 7-8.000 uomini per rinforzare la guarnigione assediata. Ma il Principe non aderì alla richiesta per non dividere le forze alla vigilia della battaglia decisiva sotto Torino.
Il 24 agosto due pattuglie di soli ufficiali imperiali fecero una ricognizione nell’area tra la Bormida e il Tanaro, spingendosi verso Alessandria e Nizza della Paglia (Monferrato), e riferendo che la strada era sgombra.
L’Armata imperiale marciò allora a tappe forzate a più colonne utilizzando tutte le strade parallele, e deviando malati, ritardatari e traini non indispensabili per la valle del Tanaro fino ad Alba e Cherasco.
Violando felicemente, ancora una volta, i dogmi militari, Eugenio passò audacemente in mezzo alle fortezze nemiche di Alessandria e Tortona. Il 26 agosto giunse a Bosco Marengo e Castellazzo e passò la Bormida su un ponte militare a Borgoratto, preceduto da forte avanguardia su due colonne che il 28 raggiunse Masio e il2 9 passò il Tanaro ad Isola, dove pose il campo.
Eugenio si spinse allora a Villanova d’Asti e a Carmagnola, 30 km a S di Torino, dove a sera incontrò Vittorio Amedeo. Come punto di radunata delle loro forze i due cugini scelsero Villastellone, sulla destra del Po.
La spallata del 27 agosto contro la Cittadella
Malgrado l’avanzata di Eugenio, La Feuillade erà ottimista fino a fargli promettere la presa di Torino per il 25 agosto, onomastico di Luigi XIV. Nel frattempo fece terra bruciata davanti all’Armata imperiale, e dal 20 agosto al 4 settembre fece ardere oltre 200 ville in collina e numerose vigne.
Ma le contromine piemontesi guastarono la festa. All’alba del 24 agosto, quando Eugenio era ormai al Tanaro, le 4 batterie francesi che sparavno sulla mezzaluna del Soccorso saltarono in aria con una vera carneficina. E il giorno dopo saltarono anche i pezzi che nottetempo gli assedianti vi avevano nuovamente piazzato. Così La Feuillade dovette rinviare l’attacco generale al 27 agosto.
Nella notte sul 27, i francesi scalarono le due controguardie e la mezzaluna del Soccorso. Il primo assalto fu respinto a fatica. La Feuillade guidò personalmente il secondo. Scalati gli ostacoli, i francesi furono bersagliati dalle feritoie. Lungo il fosso furono presi d’infilata con scariche a mitraglia. I colpi di cannone a scaglia spezzarono i gabbioni che non ebbero il tempo di riempire. Dall’alto delle mura piovevano granate e sacchetti di polvere. Una bomba francese colpì le polveri e le granate accatastate al centro della mezzaluna, provocando una carneficina anche fra gli assalitori.
Miracolosamente Daun rimase illeso, unico tra gli ufficiali presenti.
All’alba La Feuillade era padrone delle controguardie, e subito spedì a Versailles la notizia della vittoria.
Ma poche ore dopo Daun le riprese di sorpresa con 100 granatieri imperiali e 300 piemontesi (Guardie, Cortanze e Saluzzo).
Gli ultimi attacchi alla Cittadella (28-31 agosto)
Il 28 agosto, marciando sulla sinistra del Po, il Duca di Orléans raggiunse Torino con 10.000 fanti e 3.000 cavalieri, rinfrancando i 27.000 di La Feuillade, demoralizzati dal fallito attacco del giorno precedente. I francesi fecero allora un ultimo tentativo di prendere la città. Alla mezzanotte del 29 agosto un manipolo di granatieri corazzati, calatosi furtivamente nel fosso della mezzaluna del Soccorso, e sopraffatta la guardia che ne custodiva l’accesso, irruppero nella galleria superiore. Due minatori di guardia fecero tuttavia in tempo a sbarrare la porta della scala, e mentre i granatieri cominciavano a sfondarla con le asce, attivarono il fornello di mina che consentiva di far saltare la scala. Il più coraggioso dei due, Pietro Micca d’Andorno, spazientito dalla lentezza del compagno, lo tirò via per un braccio dicendogli che era “più lungo di un giorno senza pane”, e di mettersi in salvo lasciando fare a lui. Per far prima, raccorciò la miccia, onde poi non riuscì a scampare all’esplosione. Lo trovarono morto a quaranta passi dalla scala che aveva disceso.
La notte del 31 una mina francese ruppe la controscarpa della mezzaluna, e dopo un lungo bombardamento, nel primo pomeriggio 30 compagnie granatieri (di cui 11 fresche giunte dalla Lombardia) seguite da 5.000 fanti e dragoni a piedi, presero lo spalto. I difensori resistettero sulle tagliate erette alle gole delle controguardie e nella lunetta della mezzaluna, e un contrattacco delle Guardie e del reggimento Max. Stahremberg ricacciò il nemico fuori del primo fosso.
La Feuillade impiegò allora la riserva, rioccupando le opere, ma Daun le fece saltare con le contromine. La vittoria fu completata dal recupero di un grosso cannone abbandonato dai francesi.
La sorpresa del Principe Eugenio (1-6 settembre)
Con 47.000 uomini le due Armate Francesi riunite erano ancora superiori agli avversari, e avrebbero potuto affrontarli in campo aperto.
Era questo l’intendimento del Generalissimo: ma il 1° settembre il Consiglio di guerra bocciò all’unanimità la proposta, scegliendo di attendere il nemico sotto la protezione delle linee di circonvallazione e confidando nell’imminente resa di Torino.
Il Duca rimise allora la questione a Luigi XIV. Questi concesse il permesso di togliere l’assedio a Torino, ma senza impegnarsi in battaglia campale, se non in caso di forza maggiore. Il destinatario ricevette la risposta a Pinerolo: tre giorni dopo la battaglia.
Il 2 settembre Eugenio e Vittorio Amedeo salirono sulla collina di Superga per osservare il terreno dell’imminente battaglia. A N-O della città tra Dora e Stura, scoprirono una fascia di 3 km dove i francesi non avevano scavato trincee di circonvallazione. Avevano infatti ritenuto del tutto assurdo che un’Armata proveniente da E, e inferiore di numero, osasse girare attorno alla città abbandonando le proprie linee di comunicazione ed esponendo il fianco all’attacco nemico, per poi attaccare una linea fortificata combattendo a fronte rovesciata e senza linea di ritirata, con le spalle ai monti e alla frontiera francese.
Invece fu proprio questo l’audace piano scelto da Eugenio. Il voto pronunziato in quell’occasione da Vittorio Amedeo, di erigere una grande basilica in caso di vittoria, non era davvero eccessivo.
Infatti i francesi, se ancora avessero avuto un comando degno di questo nome, avrebbero potuto vincere attaccando in forze il fianco destro dell’Armata alleata nei due lunghi giorni che impiegò per girare a semicerchio attorno a Torino.
Il 4 settembre, mentre falliva l’ultimo attacco francese contro la Cittadella, il conte di Santena occupò Chieri con 9.000 miliziotti piemontesi, per tenere impegnati i 40 battaglioni di Albergotti schierati sulle colline ad E di Torino, e coprire la manovra dell’Armata principale. Contemporaneamente 24.000 fanti e 6.000 cavalli (52 battaglioni e 100 squadroni) mossero da Villastellone, varcando i due ponti sul Po costruiti presso Carignano e marciando a N-O verso Orbassano e il Sangone.
Osservando fremente la marcia del nemico, il Duca di Orléans rinnovò le sue insistenze per un attacco in forze, ma i suoi generali glielo impedirono ancora una volta, e Marsin arrivò a contestarne formalmente l’autorità, sostenendo che non aveva il diritto di disporre delle truppe dell’Armata d’assedio.
Il 5 l’Armata alleata mosse dal Sangone e, girando ad 8 km di distanza attorno a Torino, giunse alla Dora, accampando a sera a cavallo del fiume, fra la strada Torino-Rivoli e Pianezza, di fronte alla posizione francese di Lucento.
Il Visconti, con in sottordine Monasterolo e Falkenstein, attaccò anche una colonna di 400 francesi che scortava un migliaio di muli verso la Madonna di Campagna. Poi attaccò anche il castello di Pianezza, dove si era rifugiata metà colonna, e che fu preso grazie a un cunicolo segreto, che secondo la tradizione sarebbe stato indicato dalla giovane popolana Maria Bricco.
Il 16 settembre l’intera Armata alleata varcò la Dora ad Alpignano e pose il campo tra Dora e Stura, con Quartier Generale a Venaria Reale. Il settore prescelto per l’attacco era largo appena 3.5 km, a fitta copertura e intersecato da profondi fossi, e comprendeva a S il bosco di Collegno.
Lo schieramento francese
I francesi subirono passivamente l’iniziativa nemica, immobilizzati dalle loro stesse trincee. Nelle prime ore del mattino il comando del settore Dora-Stura fu assunto direttamente dal Generalissimo e da Marsin, e quello delle Ali Destra e Sinistra rispettivamente dai generali D’Estaing e Saint-Frémont.
Avevano solo 10.000 uomini (13 battaglioni e 20 squadroni, schierati su due righe. Le linee erano costituite da improvvisati trinceramenti con tracciato a denti muniti da 40 pezzi d’artiglieria. Al centro, in corrispondenza della strada per Venaria, c’era un ridotto a stella, la Cascina Arbaudi.
La Sinistra era saldamente appoggiata sul castello di Lucento, defilato dal bosco di Collegno, da dove l’artiglieria batteva d’infilata buon tratto del terreno antistante. La cavalleria era in riserva e altri 1.000 fanti e 1.200 cavalli presidiavano la controvallazione verso il Borgo del Pallone.
A S l’angusto ponte di Lucento collegava il settore Dora-Stura con il ben più esteso settore Dora-Po.
La Feuillade lo teneva con 20.000 uomini (33 battaglioni e 38 squadroni), ma, timoroso di sguernirlo, ne spedì di rinforzo al Generalissimo appena. 3.000 (7 battaglioni e 20 squadroni), astenendosi da qualsiasi iniziativa. A N-E tre ponti e due guadi sul Po collegavano il settore Dora-Stura con quello orientale tenuto da Albergotti. Durante la battaglia il Duca di Orléans gli ordinò di raggiungerlo con tutti i suoi 12.000 uomini (40 battaglioni), ma anche in questo caso La Feuillade si intromise vietando al generale toscano di abbandonare le posizioni sulle colline torinesi. Nell’incertezza, e dovendo controllare anche le dimostrazioni offensive attuate dai 9.000 piemontesi di Chieri, neanche Albergotti si mosse, restando anch’egli tagliato fuori dalla battaglia, come i 12 squadroni distaccati a Chivasso.
Lo schieramento alleato
Il piano di Eugenio ricordava quello attuato nel 1697 a Zenta: un contemporaneo sfondamento e aggiramento dell’Ala nemica più debole, che a Torino era quella Destra. Il fronte ristretto (3.5 km) consentì uno schieramento in profondità, con la fanteria su due linee di fuoco e la cavalleria in riserva.
La marcia d’attacco ebbe inizio all’alba del 7 settembre, con morale altissimo. In testa marciava un gruppo speciale d’assalto (6 battaglioni granatieri, 4 squadroni ussari e tutti i 15 pezzi campali dell’Armata), seguito da 8 brigate in colonne affiancate, con i cannoncini reggimentali intervallati fra i battaglioni, e dalla cavalleria.
Giunta a tiro di cannone, l’Armata alleata si schierò con difficoltà in due ore, sotto le salve inefficaci dell’artiglieria francese. Le brigate pari sorpassarono quelle dispari formando una linea quasi continua con 29 battaglioni su tre righe, a intervalli di 20-30 passi occupati dai cannoncini. Le brigate dispari ne formarono una seconda 3-400 passi più indietro, con maggiori intervalli fra i 23 battaglioni per consentire eventuali ripiegamenti. La cavalleria formò altre due linee di 54 e 45 squadroni.
L’Ala Sinistra, comandata da Vittorio Amedeo e dal Principe di Anhalt, era schierata tra la Stura e la grande strada per Venaria, di fronte al tratto compreso tra le ridotte nemiche Arbaudi e Cornetto. Le due brigate di estrema sinistra erano prussiane (Stillen in prima e Hagen in seconda linea), le altre due imperiali (Zumjungen e Bonneval). In riserva c’erano 4 brigate di cavalleria, due in terza linea (Falkenstein e Monasterolo) e due in quarta (Sinzendorf e Tomon).
L’Ala Destra era schierata a S della strada per Venaria, con le due brigate palatine (Coppe-Effem) verso la ridotta Arbaudi e due miste (Koenigsegg-Harrach) verso Lucento. La cavalleria (Kriechbaum) contava 4 brigate in terza linea (Grevendorf, Schellardt, Martini e Roccavione) e 3 in quarta (Battée; Wiser e Reising). Frattanto Daun era in osservazione al bastione della Consolata, tenendo pronte le truppe di sortita nel Borgo del Pallone. Erano 400 granatieri, 1.200 fucilieri (i resti di 12 battaglioni), 500 cavalli e 6 cannoni.
La battaglia di Torino (7 settembre)
Alle 9 i 15 pezzi imperiali, in unica batteria sopra un’altura prossima alla strada per Venaria, aprirono il fuoco contro l’Ala Destra nemica. Alle 10.30 Eugenio sospese il tiro, rivelatosi inefficace, e ordinò l’attacco dei granatieri, a passo di carica e col fucile a bracc’arm Giunti a 10 passi dalle trincee francesi, la fucileria li costrinse a ripiegare, e fallirono anche gli altri due attacchi delle brigate di prima linea (Stillen e Zumjungen).
La seconda ondata (Hagen e Bonneval) riuscì ad infiltrarsi nelle trincee, ma fu arginata e respinta dal Duca d’Orléans. Il Principe di Anhalt guidò allora un quarto attacco, e la mischia si riaccese.
La carica del principe d’Anhalt-Leopoldo I di Anhalt-Dessau
Frattanto la cavalleria trovò un passaggio lungo un ramo della Stura con acqua poco profonda. Benché difeso dalla ridotta Cometto, il ciglione della riva destra era facilmente superabile, e Vittorio Amedeo lo forzò con il gruppo d’assalto. Metà degli ussari proseguirono verso il Po, fino al Parco Vecchio (ora Regio Parco) per sbarrare il ponte della Madonna del Pilone e impedire alle truppe di Albergotti di occupare la Vanchiglia (confluenza tra Po e Dora). Il resto del gruppo d’assalto, seguito dalla cavalleria, piombò invece sul fianco dei francesi, costringendoli a sgombrare le trincee di destra e centro e ad arretrare sulla Madonna di Campagna. Nella mischia cadde il generale Marsin (morto il giorno dopo a Losa), e lo stesso Generalissimo francese, ferito due volte sia pure non gravemente, dovette abbandonare il campo. Demoralizzati, i francesi ripiegarono però in ordine su successive posizioni di resistenza appoggiate a caseggiati, fossi ed argini.
Mentre la riserva dell’Ala Sinistra alleata occupava saldamente il tratto di trincea sgombrato dai francesi, e i guastatori colmavano il fosso e spianavano il parapetto per dare il passo alla cavalleria, Vittorio Amedeo fece avanzare la prima linea verso la nuova linea francese.
Ma, per convergere sulla Madonna di Campagna, la brigata di destra (Zumjungen) obliquò eccessivamente a sinistra, rompendo il contatto con quella contigua deIl’Ala Destra (Coppe), la quale aggravò la falla convergendo anch’ essa in direzione opposta verso Lucento.
Immediatamente la cavalleria borbonica (brigate Carcado e Bonnelle) ne approfittò per caricare i fianchi offerti dalle due incaute brigate.
Eugenio salvò la situazione tappando la falla con la brigata di riserva dell’estrema destra (Harrach), giunta appena in tempo per prendere sul fianco i cavalieri nemici e assalirli alla baionetta. Accanto ad Eugenio caddero uccisi un paggio e un domestico, e il suo stesso cavallo fu abbattuto sotto di lui, ma il Principe si rialzò subito tra gli urrah! dei soldati.
Facendo perno sul tratto di circonvallazione rimasto in loro possesso all’Ala Sinistra, i francesi ripiegarono anche da Madonna di Campagna, ricostituendo tuttavia una terza linea di resistenza, ora non più convessa ma concava. E con il rinforzo di 6 battaglioni e 12 squadroni finalmente giunti d’oltre Dora riuscirono a prolungarla davanti alla controvallazione sino al Parco Vecchio.
Nel frattempo entrarono in azione le truppe di sortita della guarnigione di Torino. Alle 11 Daun ebbe ordine di passare la Dora al ridotto del Ponte per attaccare le trincee di controvallazione con la fanteria, e occupare la Vanchiglia con la cavalleria, in modo dà prendere alle spalle i francesi e tagliare loro ogni via di ritirata.
A mezzogiorno Daun forzò le trincee di controvallazione, attaccando alle spalle l’esile linea francese, mentre il Duca la caricava sul fianco destro con la cavalleria. Allora i francesi si sbandarono cercando scampo verso i ponti della Vanchiglia, sciabolati dalla cavalleria di sortita in agguato al Vecchio Parco. La Sinistra ripiegò a S sul castello di Lucento, dove stabilì una testa di ponte.
La situazione permaneva critica. Sulla riva destra della Dora si vedevano concentrarsi le truppe di La Feuillade, ed Eugenio schierò tutta la riserva di Destra lungo il ciglione della riva opposta. Ma la testa di ponte era troppo angusta per consentire un contrattacco francese, e La Feuillade fu inerte spettatore della fine degli ultimi valorosi.
Consumate le ultime munizioni, il presidio di Lucento bruciò i magazzini, abbandonò fiero e indisturbato il castello, e passò la Dora distruggendo il ponte. A quel punto, benché ancora intatte, le truppe di La Feuillade furono contagiate dal panico, e cominciarono a fuggire.
Alle 14 la battaglia era finita. Un’ora dopo Eugenio e Vittorio Amedeo entravano insieme nella città liberata, accolti dal rombo delle campane e dei cannoni, e tra la folla festante raggiunsero il Duomo per celebrare il solenne Te Deum.
Le statistiche dell’assedio e della battaglia di Torino
In 117 giorni di assedio i francesi tirarono 94.737 palle di cannone, 29.945 bombe e 27.700 granate. I difensori risposero con 73.088 palle, 60.960 pietre, 6.004 bombe e 1.500 granate, e per aumentare o riparare le difese impiegarono 1.8 milioni di fascine e 3.7 di paletti, 73.000 pali, 75.000 tavole e 61.000 sacchi di terra o di lana.
I difensori persero 3.000 morti e feriti e 2.000 disertori, riducendosi a 8.000. Le perdite francesi superarono i 14.000 uomini. La battaglia costò ai borbonici un maresciallo (Marsin), 5 generali, 202 ufficiali e 5.094 uomini, di cui 1.800 prigionieri, 55 bandiere, 164 cannoni pesanti, 40 da campagna, 50 mortai, i cavalli di 13 reggimenti dragoni, un ospedale da campo, la cancelleria dell’esercito e una immensa quantità di tende, materiale, viveri e munizioni. Gli alleati ebbero 944 morti (52 ufficiali) e 2.302 feriti (182 ufficiali).
(Fonte: historicalab.it)