Questo Diario è ispirato a una storia vera, anzi, per la precisione, a due storie vere.
La prima, è uno dei tanti tristi episodi verificatisi nel periodo di occupazione tedesca in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il 21 Maggio del 1944, toccò al paesello di San Pietro, in Val di Susa.
L’altra storia, invece, è la mia. Voglio dire, quella dei miei ricordi di giovinezza vissuti, in gran parte, proprio come ospite in quello stesso paesello, soltanto... Riportati indietro nel tempo di circa trent’anni!
Corre l’anno 1943. Torino è sotto i bombardamenti. Chi può, è sfollato nelle vicine campagne sperando in un rifugio sicuro. Margherita è ancora una bambina quando è costretta a lasciare la città con la mamma mentre il papà parte per la guerra. Trovano rifugio nella vecchia villa di famiglia a S. Pietro, una piccola borgata sperduta tra le montagne della Val di Susa, che, da luogo di villeggiatura estiva, diviene, così, la loro nuova casa. Ma per Margherita, quel paesello non è soltanto un posto dove cercare protezione dalle bombe: ai suoi occhi di bambina è un Regno nascosto e misterioso in cui ogni cosa, persona e animale riesce a rivelare il proprio essere meraviglioso. Di quel posto magico fa parte, soprattutto, una persona, Tom, di cui è, certamente, innamorata (anche se lei non lo sa...). Tom è un bambino particolare, che ama guardare le rondini volare alte nel cielo e che vuole diventare, egli stesso, rondine e cielo. Nulla lascia presagire che la guerra si abbatterà con violenza anche lassù. Ma i due bambini non permetteranno a nessuno, neppure per un istante, di rubargli un ricordo o di distruggere i loro sogni e riusciranno, addirittura, a catturare il sole perché la sua luce possa proteggerli per l’Eternità. Margherita annota ogni ricordo di quest’avventura nel suo Diario, un’avventura piena di grande amore e bellezza, o, come dice lei, la “più bella, incredibile e paurosa” che le sia mai capitata.
Jean Baptiste Nansél è un eremita, e vive in una grotta tra gli alti e selvaggi monti del Queyras. Inaspettatamente riceve il coronamento del sogno della sua vita di solitudine e di semplice santità: una Reliquia.
Gliela offre una donna bellissima, che ha il potere di apparirgli. Ma quella Reliquia, un Calice, fa gola a molti, e primo fra tutti al suo principe-vescovo Aymon d’Embrun, che lo imprigiona. Quando i suoi devoti, i cacciatori di lupi del Queyras, compiono un colpo di mano e lo liberano prendendo in ostaggio Artemisia, Colin ed Illait trascinandoli tra le montagne, si stringe il primo nodo di una rete tessuta da Maude de Belley e si spezza la realtà tra il presente e un altro tempo, in un altro luogo, dove tutto può essere stravolto.
Con fughe tra foreste e montagne coperte di neve, tuffi nel passato del giovane druido e momenti nel luogo senza tempo dove diventa reale la più perfetta delle storie d’amore, si compie la lotta tra la parte luminosa e quella buia del Potere.
La lotta tra Illait di Isley e Maude de Belley, depositari di una conoscenza che li fa entrambi perseguitati in un mondo ormai cristiano.
Autunno Anno Mille. Amboise de Montsaivy è chiamato dal signore di Boscozel per curare sua nipote, caduta in un sonno senza risveglio lo stesso giorno in cui la sorella è rinvenuta uccisa. Ma ci sono eventi che Amboise de Montsaivy ha taciuto ad Artemisia, Illait e Colin, che come sempre lo accompagnano, e che vent’anni prima lo hanno strettamente legato alla casa di Vion, con la bella e sfortunata Alix, e alla casa di Boscozel con la feroce follia del suo ultimo signore Rais.
Per Rais ora la venuta di Amboise e la scoperta della giovane Artemisia sono il segno atteso, è la sua ultima occasione per la conquista delle terre del suo nemico. Per Guigues de Vion sono l’accettazione del passato con tutte le sue tragedie, e del futuro con il proprio destino di potere. Ma nel momento piu difficile giunge a Manthes il monaco Leon de Vezélay, strumento della vendetta del suo vescovo. Con la sua venuta gli eventi precipitano, e prendono corpo gli intrighi per confondere e nascondere le molte verita, da quella della morte della piccola nipote di Rais alle verità di vent’anni prima, e tra fughe, agguati, assedi, battaglie e roghi Illait di Isley si ergerà a dispensatore di giustizia.
Storia - visita - escursioni
Tra tutti i forti della cintura fortificata alpina voluta dai Savoia, il forte di Exilles nella Valle della Dora è certamente quello più ricco di storia. Conteso aspramente nel XVI secolo, quando non era che un modesto castello di frontiera del Delfinato francese, poi passato alla sovranità sabauda dopo il rapido assedio dell’agosto del 1708, il forte è sempre stato al centro delle vicende militari e politiche dell’alta valle. Come accadde ad altri forti alpini, fu distrutto per effetto del Trattato di Parigi del 1796, dopo le sconfitte subite dal Regno di Sardegna ad opera di Napoleone Bonaparte. Quando venne ricostruito, pochi decenni più tardi, in piena Restaurazione, risorse sulle sue stesse fondamenta, con un aspetto non molto diverso dall’imponente forte settecentesco plasmato dalle mani di Ignazio Bertola e di Lorenzo Bernardino Pinto. Qualcuno disse che era nato già vecchio e ricostruito solo per compiacere l’ormai scomodo alleato austriaco, che voleva difendere la frontiera tra Piemonte e Francia, per garantirsi da un’altra guerra contro i francesi. Ma il “vecchietto” non deluse il suo ruolo e ancora a fine Ottocento ritornò ad essere il fulcro di ben due piazze militari, quella di Exilles e quella dell’Assietta, aree troppo importanti per essere trascurate dalla difesa del giovane Regno d’Italia. Ora il forte di Exilles, il più grande monumento della Valle di Susa, costituisce un punto di partenza per il rilancio della valle e dei comuni olimpici, un luogo da vivere e da frequentare tutto l’anno, con iniziative culturali o con manifestazioni destinate ad un pubblico che ne apprezzi l’eccezionalità delle strutture e della sua lunga storia.
Erano i primi anni del Settecento e in Europa era in corso una guerra. Lo Stato sabaudo era uscito vincitore dall’assedio condotto dai francesi contro la città di Torino e, contrattaccando, aveva conquistato e riannesso ai suoi territori le alte valli di Susa e del Chisone che da secoli giacevano sotto il dominio francese. Dopo la conquista, diventava oltremodo necessario erigere delle fortificazioni per bloccare un eventuale ritorno dei transalpini, così a Susa, sulla collina della Brunetta, nasceva un’opera imponente: una fortezza dalle dimensioni e dalle caratteristiche mai viste prima. Purtroppo i lavori non procedevano secondo i piani: troppi imprevisti, sabotaggi e fatti misteriosi ne rallentavano la costruzione. Gli operai e la stessa popolazione cominciavano a pensare che vi fosse qualche forza occulta contraria alla sua edificazione. A Torino vi erano forti preoccupazioni anche tra i progettisti, così i comandi militari decisero di affidare il compito d’indagare al capitano Pietro Ducco, comandante delle squadre che operavano nelle gallerie della Cittadella. L’ufficiale era molto apprezzato per la sua intelligenza e si era già distinto, qualche anno prima, durante l’assedio francese. Iniziava così l’avventura di questo giovane che, con i suoi uomini, cercherà di svelare il mistero. Pietro sarà investito da un insieme di fatti che lo coinvolgeranno sia sul piano professionale... sia su quello personale.
Storia ed escursioni
Fra tutti i monti dell’alta Valle di Susa, lo Chaberton è certamente il più conosciuto. La sua mole piramidale domina incontrastata le valli di Cesana e di Oulx, come una gigantesca sentinella dell’ultimo lembo di terra italiana prima della Francia. Sulla cima spiccano i ruderi della batteria Chaberton, il forte più alto d’Europa, il forte invincibile, i cui cannoni potevano sparare indisturbati, certi che non sarebbero mai stati contrastati dai pezzi nemici. Ai francesi, ben consapevoli della difficoltà di evitare i tiri dello Chaberton, quella fortezza rappresentò un’insanabile ferita all’orgoglio nazionale, un simbolo da eliminare al più presto, prima che potesse far danni irreparabili. Questo libro racconta la storia dello Chaberton e delle sue fortificazioni: la storia di un mito sfiorito troppo presto, ma che ancora emoziona, convincendo tanti escursionisti a salire in vetta ogni anno per visitarne i resti. Un lavoro per non dimenticare una montagna di guerra, di fuoco, di sofferenza, dove giovani vite furono sacrificate nel compimento del proprio dovere. Ricordare per rispettare, proprio in questo periodo, nel quale, cadute quelle frontiere per cui si combatteva, lo Chaberton si è trasformato in una grande montagna di pace e di sport, traguardo ambito di gare come l’Iron-bike, dove giovani atleti si confrontano duramente, ammirati da una grande folla di appassionati e di turisti.
Un’idea che a pochi è venuta in mente, o almeno, è venuta, ma non hanno ritenuto opportuno metterla in pratica. Parlo dell’idea di realizzare il famoso “Il Piccolo Principe” in bilingue, l’italiano nella pagina sinistra e nella pagina a fianco la traduzione in piemontese, il piemontese “dij Brandé”. Un modo di avvicinare chi non sa leggere il piemontese, tanto meno scriverlo, a questa “lingua” a volte bistrattata. La traduzione non è completamente letterale, bensì nel modo più consono della parlata piemontese. Un modo divertente, insomma!
In edicola con il quotidiano La Stampa
“II Drago! Abbiamo visto il Drago, la notte di Ognissanti. La fine del Tempo è su di noi!”
E’ soltanto la profezia di un vecchio monaco che si aggira per le strade di Chambery, tuonando giudizi e imminenti castighi?
In citta, prigioniero del vescovo, c’è uno straniero pagano: Illait di Isley, custode dell’antico sapere druidico. E ci sono Amboise de Montsaivy, studioso e medico d’indiscussa fama, e la giovane Adelaisa, che Amboise sta conducendo al marchese Olderico Manfredi, nella Marca di Torino, perché è la sua promessa sposa. E infine c’è il capitano Colin Bois, il mercenario assoldato per accompagnarli.
Per tutti è l’inizio di un viaggio avventuroso che li trascinerà lungo la Valle di Susa fino alla nascente Sacra di San Michele.
Ma è anche l’inizio di un’unione che li portera molto più lontano.
Sull’intero romanzo aleggia la misteriosa figura di Tànit, dea cartaginese, ritenuta anche protettrice delle streghe. Il protagonista l’ha idealizzata traendola da un bassorilievo di epoca romana ritrovato nei pressi di Borgone di Susa. Le musiche del film “Les parapluies de Cherbourg” fanno da colonna sonora al romanzo stesso. Il protagonista è un novarese poco più che cinquantenne, con trentennale esperienza in campo informatico. Tipo solitario, amante della propria terra, delle montagne della Valsesia e della natura in genere. Periodicamente si rifugia nella casa di Ciantüsèl, frazione di Borgone di Susa, dove in gioventù trascorreva le proprie estati presso la vecchia zia Virginia, “magna Ginia”, che si definiva la “masca buona” della casa, da lei chiamata “La capanna del Signore”. Durante una di queste permanenze, appare Martine, sua cugina di Ginevra, con la quale aveva avuto una breve relazione trent’anni addietro. Martine si porta dentro un doloroso segreto. Il racconto si sviluppa intorno ai due protagonisti, con fugaci ritorni del passato ginevrino e con l’apparente presenza di “magna Ginia”. Nell’intrecciarsi delle vicende di quei giorni trascorsi insieme nella vecchia casa, entrambi riusciranno a fare delle scelte risolutive per l’avvenire. Dopo essersi ritrovati, daranno l’addio alle rispettive quotidianità, dedicandosi al recupero delle terre abbandonate, con il ritorno ad una dimensione più umana in una natura pronta ad accogliere…
L’appuntamento fissato per Amboise de Montsaivy è uno di quelli cui non si può mancare: il terzo giorno dopo la festa di San Giovanni deve presentarsi a Cluny per affrontare il giudizio cui l’ha costretto Chaffre de Revard. Ma Valentin, alchimista in Auxerre e amico di gioventu, gli chiede aiuto: dal Natale precedente, gli è stato proibito d’incontrare la nipote Agnes, novizia presso il monastero di Sainte-Madeleine di Vezélay, e di lei non sa più nulla.
Amboise, la giovane Artemisia, Illait di Isley e Colin Bois si trovano così coinvoiti in un mistero, perché dalla cella in cui è custodita la fanciulla, muta dalla nascita, si alza spesso un canto melodioso, in una lingua incomprensibile. E la badessa del monastero è la bella Maude de Belley, i cui poteri oscuri si infrangono contro quelli di Illait. Quel mese di giugno dell’anno Mille, gravido di eventi nefasti, vedrà trasformarsi molte vite sulla falsariga della Grande Opera alchemica.
«L’unità nazionale»
Gloria sui campi «1959» e Camicie rosse «1860» formano, con questo libro, una trilogia che comprende gli avvenimenti storici principali per i quali – dopo i vani tentativi del 1848 e del 1849 – l’Italia riuscì a raggiungere la sua unificazione e liberazione dallo straniero.
Sono gli anni più gloriosi del Risorgimento Italiano, gli anni delle vittorie, dei grandi ardimenti guidati da eroi come Garibaldi e da uomini politici come Cavour. Se la completa unificazione della Patria non fu raggiunta che nel 1870, tuttavia nel fatidico triennio, i più gravi ostacoli vennero abbattuti, le più gloriose vittorie vennero conquistate, sì da costituire premesse inoppugnabili per il raggiungimento del fine supremo.
Anche qui, come nei due volumi precedenti, i fatti storici sono rigorosamente documentati, ma riprende la narrazione tratta dal diario di Michele Gaudino, rendendoci più viva e colorata la realtà dei fatti.